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Non uccidere! Perché?

cappio2Al comandamento “non uccidere” rispondo chiedendo PERCHE’!? Se non troverò risposte adeguate considererò l’omicidio una opzione possibile.

E’ morto Priebke e si sprecano i commenti che vanno da “avrebbero dovuto impiccarlo in vita” a quelli meno viscerali di Ignazio Marino e Nichi Vendola.

Ignazio Marino ‏@ignaziomarino Gli uffici del Campidoglio stanno verificando se c’è la possibilità di negare una sepoltura. La tomba di Priebke a Roma sarebbe un’offesa.

Nichi Vendola ‏@NichiVendola impedire che funerali #Priebke si trasformino in apologia crimine che accompagnerà per sempre come un’ombra la memoria di questo carnefice

Da persone colte e intelligenti come Nichi Vendola e Ignazio Marino mi aspettavo riflessioni meno di pancia e minor propensione a rincorrere un pensiero retrogrado e un tantino violento.

Offesa a Roma? Ma neanche per sogno. Onore alla città che sa guardare a chi l’ha straziata con gli occhi, il cuore e la mente necessari a indicare ciò che occorre fare perché ciò che è successo a Roma non accada più in alcun luogo del pianeta. Quante sono le città, i villaggi in cui in questo momento si stanno compiendo stragi e stupri di massa?

Pensiamo davvero che la cultura della morte e della violenza possa essere sconfitta con la paura che di quella cultura si faccia apologia? Non c’è nulla di più serio e profondo che possa essere fatto perché quella cultura generi in ogni essere umano sdegno e rigetto? La paura della paura ha prodotto solo crimini e complicità con i criminali.

Chi siamo noi per negare qualcosa ai resti mortali di un uomo che si è macchiato di crimini efferati?

Era un criminale di guerra; negandogli sepoltura facciamo progredire la cultura della pace e del rispetto della persona umana?

Si ripropone il tema della pena capitale: avrebbero dovuto impiccarlo da vivo.

Torno a pormi una domanda: perché non uccidere?

La pena di morte è per me sbagliata e inutile ma è una opzione della quale si può discutere all’interno di una analisi della società che si vuole costruire e del sistema repressivo ritenuto più idoneo.

La pena di morte è una allegorica caricaturale trasfigurazione della vita concepita come pena.

Contrariamente a quanto da tanti affermato, non esistono esigenze di sicurezza che rendono necessaria la pena di morte.

Per definizione si tratta di una pena inflitta a chi, condannato dopo un processo, è sottoposto a un regime di carcerazione. L’individuo è già nelle condizioni di non arrecare danno alla collettività. Non sarebbe ucciso per motivi di sicurezza, ma la sua morte servirebbe da monito ad altri; quindi si sacrificherebbe una vita per una presunta valenza di deterrenza e non di sicurezza. Presunta perché i dati ci dimostrano che la pena di morte non è per nulla un deterrente.

Discutere intorno alla pena di morte, significa porsi interrogativi su quale debba essere la funzione della pena.

In molte comunità arcaiche chi commetteva delitti gravi era allontanato dalla comunità. La pena era il ripudio dalla comunità. Anche gli Stati moderni hanno utilizzato questa tecnica; i bagni penali nelle colonie, per esempio.

Oggi questa soluzione è praticata con le istituzioni carcerarie che dovrebbero essere finalizzate a creare le condizioni per il reinserimento di chi delinque. Inutile nascondersi che in certi casi l’obiettivo del reinserimento non è perseguibile per le caratteristiche del soggetto e per i limiti della nostra cultura e capacità di recupero, ma in tanti altri casi l’obiettivo non è raggiunto per i limiti oggettivi e strutturali delle nostre carceri (e il carcere si trasforma in una scuola del crimine) e per un diffuso atteggiamento rinunciatario che ci rende più inclini alla cultura della pena come vendetta risarcitoria (non molto diversa dalla rappresaglia prevista dal codice di guerra).

Imporsi di non praticare la pena di morte richiama l’obbligo di adoperarsi per il miglioramento della struttura carceraria perché possa essere coerente con l’obiettivo costituzionale del reinserimento.

Possiamo anche prevedere che il carcere abbia una esclusiva funzione segregativa (cosa che avviene con la condanna all’ergastolo, per esempio), ma questa ipotesi dovrebbe essere estremamente limitata a casistiche estreme e strettamente correlata ai limiti delle capacità e tecniche di recupero cui facevo riferimento prima. Troppo spesso, invece, rinunciamo alla funzione di recupero per inerzia e incapacità di prevedere forme di pena alternative alla pura segregazione. Così, molti entrano in carcere per piccoli reati ed escono delinquenti patentati.

Sono contrario perfino all’ergastolo perché con la previsione di questa pena si abdica aprioristicamente alla funzione di reinserimento della pena non con riferimento al soggetto specifico, ma in relazione a figure di reato.

La repressione del crimine è una funzione indispensabile che deve essere esercitata chiedendosi prioritariamente che tipo di società vogliamo e su quali leve vogliamo agire per migliorarla.

Dare la morte a qualcuno non aiuta a rendere migliore la nostra società, anzi. Significa affermare il principio che un uomo può meritare di essere eliminato dalla società. Significa riconoscere che quella persona rappresenta un male assoluto per la collettività, senza incidere sulle cause che lo hanno reso un male assoluto.

Significa introdurre una previsione di pena che, una volta introdotta, sarà discrezione dell’autorità decidere per quali reati applicarla e nel mondo sappiamo quante siano varie le ragioni per cui è prevista la pena capitale.

Non c’è molta differenza tra il prevedere la morte per chi ha violentato dei bambini e prevedere la morte per chi ha commesso adulterio. In entrambi  i casi sono dei tribunali che decidono la pena, è l’autorità costituita e riconosciuta di ogni Paese e la differenza tra i due Paesi è solo il ventaglio di reati per i quali può essere comminata la pena capitale e le modalità di esecuzione, mentre non rileva, rispetto alle pene contemplate, quali siano i livelli delle garanzie procedurali.

A questo punto appare logico e produttivo prevedere le pene corporali perché se è vero che per certi casi irrecuperabili l’unica soluzione è la morte, per altri potrebbero bastare 100 frustate, il taglio del naso o altre cosette simili.

Occhio per occhio, dente per dente.

D’altra parte, chiunque conosca la realtà statunitense o segua il sempre aperto dibattito americano sulla pena di morte sa benissimo che i sostenitori della pena capitale trovano proprio nei precetti cristiani la giustificazione “etica” al loro perseverare.

Come mai la Chiesa non ha ancora espresso condanna morale per la pena capitale? Come mai eutanasia e aborto sono considerati crimini contro Dio mentre la pena di morte è considerata semplicemente inefficace?

Recita il compendio al catechismo, la cui recente stesura è avvenuta sotto la guida del cardinale Ratzinger, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, al punto 469: “Oggi, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere il crimine rendendo inoffensivo il colpevole, i casi di assoluta necessità di pena di morte «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti» (Evangelium vitae). Quando i mezzi incruenti sono sufficienti, l’autorità si limiterà a questi mezzi, perché questi corrispondono meglio alle condizioni concrete del bene comune, sono più conformi alla dignità della persona e non tolgono definitivamente al colpevole la possibilità di redimersi.”

Per la Chiesa la pena di morte è ammissibile soprattutto in relazione agli strumenti di cui lo stato dispone: “se i mezzi incruenti sono sufficienti… l’autorità si limiterà a questi mezzi”. Ergo, se i mezzi sono dall’autorità ritenuti insufficienti ecco che la pena di morte diviene legittima.

Se lo Stato dispone di mezzi incruenti più conformi alla dignità della persona, saranno rari e quasi inesistenti i casi di assoluta necessità per i quali ricorrere alla pena capitale… diversamente la pena di morte potrebbe essere più estesa e frequente. In ogni caso i mezzi incruenti sono “più conformi” alla dignità della persona, ma evidentemente la pena capitale è ritenuta “conforme” alla dignità della persona.

Personalmente trovo inconciliabile la tesi della “indisponibilità della vita umana” con l’ammissibilità della pena capitale.

La sensazione spiacevole è che si continui a sprecare ottime occasioni per far crescere la cultura del diritto e del rispetto per la persona umana.

La sensazione spiacevole è che si continui a rapportarsi con i “simboli del male” con comportamenti e rituali tribali (infierire sul cadavere del nemico non è molto diverso dal negare la sepoltura) come se questo serva a esorcizzare il male, rinunciando a indagare sulle cause storiche e culturali di cui quei “simboli” sono i prodotti.

Intanto, intorno a noi in questi decenni e in questi giorni si diffondono i luoghi in cui i Priebke sono incontrastati protagonisti.

23 thoughts on “Non uccidere! Perché?

  1. Ciao Mako, ….solo due riflessioni, 1) Priebke non ha mai manifestato una pur minima forma di pentimento o ammissione delle sue orribili responsabilità. 2) Cosa dire del comportamento tenuto dal suo avvocato e chi sta intorno a questa storia? Forse negare la sepoltura ha ragion d’essere nella risposta a queste due riflessioni, non pensi? Fammi sapere il tuo pensiero al riguardo, te ne sarò grato. Ciao 🙂

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    • Ciao Franco, come va?
      Volentieri rispondo alle tue domande.

      1) Irrilevante. Bada, io non sto parlando di perdono (non spetta a me perdonare). Il mancato segno di pentimento rientra nella logica delle cose ed è coerente con la sua tesi dell’aver obbedito agli ordini. In ogni caso oggi stiamo parlando di un morto e non di una persona che agisce, pensa, vive…

      2) L’avvocato fa la sua parte in un gioco delle polemiche. A cosa serve negare la sepoltura? Non era in Italia da libero cittadino o da turista. Al “ridiamolo alla Germania” non si può che rispondere “rimane a Roma”. Mi sembra tutto molto puerile rispetto alle tragedie che la sua vita ha firmato.
      Prendi le parole che adesso scriverò con le pinze dell’intelligenza.
      Solo la paura e l’ipocrita calcolo politico impedisce a taluni di affermare “ma quale funerale di stato! sono venuti qui da clandestini. a cercare cosa poi che siamo con le pezze al culo e ci hanno fatto spendere soldi e fatto danni. hanno commesso dei reati e dobbiamo pure seppellirli? se li riprendano i familiari”
      Rifletti. In cosa questo ragionamento sarebbe sbagliato?

      Ecco, se vogliamo affermare una cultura della pace, del rispetto, dei diritti… non ti chiedere per chi suona la campana e in ogni occasione dimostriamo che la cultura dell’uomo sa placare l’animale che è in noi.

      Ciao e sappi che le parole che ho “virgolettato” io le ho udite!

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  2. Caro Mako, no….io non voglio ridarlo alla germania…., penso che lo Stato, nel silenzio più assoluto, lo doveva seppellire, cosa ormai impossibile a farsi, in luogo anonimo…. e intorno ad esso far calare il silenzio più assoluto…. adesso non so proprio cosa si può fare, ma, secondo me, nessun funerale, nessun discorso, neanche una parola….non c’è niente da dire o da sentire, ognuno di noi può, anzi, deve solo riflettere….ciao Mako, (Io sto abbastanza bene, grazie, spero anche tu! 🙂 Ciao! )

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    • Siamo d’accordo. Il clamore in certe circostanze serve solo ad alimentare polemiche inconcludenti.
      Mi risulta che l’ex SS ha due figli; forse potevano essere contattati e verificare con loro cosa fare; è stato fatto? Non lo so.
      Esistono delle regole quando muore un detenuto. Sarò banale, ma il rispetto delle regole è una cosa che mi piace. Non si possono fare regole speciali a ogni situazione.
      Anche questo per me è senso del diritto, dello Stato e delle Istituzioni.
      In fondo, l’abbiamo voluto in Italia perché fosse processato per i suoi crimini. E anche la sua vicenda giudiziaria è una fotografia di questo Paese sempre afflitto da convulsioni. E’ morto in Italia perché condannato finché morte non sopraggiunga: questo è l’ergastolo.
      La regola in Italia prevede che a un cadavere si dia sepoltura.
      Non mi risulta che sia stato condannato con la pena accessoria della cremazione e successivo spargimento delle ceneri o dando il suo cadavere in pasto ai maiali…
      Questo è un Paese che non conosce serietà: sì, ci sono le leggi ma… c’è sempre una situazione speciale per le quali le leggi non contano. Chissà perché questa cosa mi suona come già sentita.

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  3. Si, sono d’accordo, le regole vanno rispettate. Infatti io non ho detto che non bisogna dare sepoltura al cadavere di Priebke e, come te, sono per il rispetto delle regole senza eccezioni, nessuna eccezione! Ecco, adesso, se si procedesse ad un funerale, pubblico o privato, e questo molto probabilmente, anzi sicuramente, “riscaldasse gli animi” dei nostalgici nazi-fascisti, durante la cerimonia e anche dopo, con manifestazione evidente in gesti simbolici, e parole, e discorsi, e anche, di conseguenza, sui mezzi di informazione, come la mettiamo con le regole, che vanno assolutamente rispettate tutte senza eccezioni? Ciao.

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    • Come la mettiamo se…?

      Molto semplicemente così: rispettando le regole; vale a dire se qualcuno violerà le regole si procederà con le ovvie misure repressive e ovviamente andranno prese tutte le normali misure precauzionali che la legge, il buon senso e l’esperienza suggeriscono.

      Aldilà di queste ovvietà, vorrei che fosse chiaro qualche dato.

      1) La frittata è stata fatta nel momento stesso in cui qualcuno si è fatto prendere dalla tentazione di non rispettare quanto previsto dalle regole in essere.

      2) Non è successo nulla di imprevisto di straordinario: dal momento in cui Priebke è stato condannato all’ergastolo sapevamo che avremmo dovuto gestire la sua morte; tempo, per pianificare le azioni da compiere al verificarsi dell’evento, mi sembra che ne sia passato abbastanza; quindi, nessuna emergenza da affrontare.

      3) Se qualche distrattone non si è curato per tempo di pianificare la gestione dell’ovvio e atteso evento, dovrà intelligentemente fare l’unica cosa sensata: applicare le regole e poi se non piacciono provvedere a modificarle.

      4) Se qualcuno ritiene di essere impreparato rispetto a qualcosa che è nell’ordine delle cose, probabilmente è uno sprovveduto; costui farebbe bene a valutare l’opportunità di non occuparsi della gestione della cosa pubblica.

      E fin qui siamo nella ovvia aspettativa che ogni cittadino dovrebbe avere da chi è preposto a gestire gli affari pubblici, l’ordine pubblico, la municipalità e tutto ciò che attiene alla macchina statale.
      Poi c’è l’intervento a livello culturale e formativo, ma sembra che questo non appartenga più al nostro mondo a qualsiasi livello.

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  4. Sono pienamente d’accordo, lasciami però al mio pessimismo riguardo le misure repressive. In Grecia, mi sembra, hanno preso misure importanti e, credimi, non me lo aspettavo. Da noi, purtroppo, credo sia impossibile senza il rischio di una degenerazione violenta. Spero di sbagliarmi! Ciao Mako….con grande stima 🙂

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    • Capisco ma non possiamo sempre renderci prigionieri dei timori.
      Timore della degenerazione violenta, della deriva populista o di altro genere, di perdere consenso…
      Come scrivevo ieri in un tw “seppellire non è dimenticare“.

      La guerra è un crimine anche se si rispettano i codici bellici.
      Il soldato che viola i codici e talvolta anche lo ius gentium è un criminale di guerra.
      Questi criminali in ogni guerra hanno sempre negato la sepoltura alle loro vittime. Le fosse comuni sono un esempio di questa negazione che è tentativo di cancellare una memoria, una esistenza, una identità…

      Seppellire è ricordare.

      E noi dobbiamo ricordare e non confonderci con coloro che vogliono “celebrare e onorare una memoria”.
      Parole simili con opposti intenti.

      Le tifoserie sono sempre negazione dei princìpi; al massimo affermano dei valori, vale a dire ciò che deve essere fatto valere.
      Male hanno fatto gli “antifascisti” a prendere parte a una cerimonia che doveva essere privata per dare sepoltura a un corpo ma non a una memoria che deve essere tenuta viva per non dimenticare quanto l’uomo possa essere una bestia quando scatena la propria distruttività, nella ipocrita persuasione di poterla governare.

      Memoria.
      Stesso termine per finalità diverse.

      A fronte di coloro – pochi – che vogliono celebrare la memoria delle gesta criminali, bene avrebbero fatto i tanti che ripudiano quella cultura di morte e violenza ad affermare l’asettica applicazione della norma, della legge: unica garanzia che il diritto esiste e chi vive nel diritto non si confonde con chi vive nella sopraffazione e negazione dell’altro.

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  5. Mako, temo che “i pochi” possano diventare “i tanti”. Non credo sia qualcosa di improbabile o impossibile che accada…..e una cerimonia, una sepoltura pubblica (nel senso di portare a conoscenza di tutti il luogo) possa, anche solo po’, favorire questo.Insomma, hai ragione tu quando sopra hai detto che ci si doveva preparare per tempo e, invece, niente è stato programmato! Ciao!

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    • Caro Franco, quel che trovo insopportabile è questo perpetuo andazzo emergenziale: sembra che tutti siano nati ieri e siano all’oscuro di tutto.
      Non solo l’Italia vive in un perenne equivoco.
      Fatemi capire.
      Roma poteva tollerare Priebke vivo ma sarebbe offesa dall’ospitare la sua salma? roma non si merita ciò?
      Scusate, e chi si merita ciò!
      E’ profondamente illogica e irresponsabile – oltre che offensiva – l’idea che ci sia un luogo che si meriti la salma del boia!

      Si condanna una persona per le sue azioni; il corpo senza vita non è più nella disponibilità giuridica dello Stato o vogliamo anche sul cadavere applicare delle pene?

      Si sta confondendo il cadavere di Priebke con Priebke.
      Si confonde il “dannato” Priebke con il “dannato cadavere di Priebke”.

      Trovo che il prefetto di Roma e il sindaco di Roma si siano comportati in modo insulso, sterile, isterico e con totale assenza di sensibilità giuridica e consapevolezza della propria funzione: hanno avuto l’unico merito di radunare e dare visibilità a tutti gli imbecilli d’Italia. Hanno creato il palcoscenico perfetto per fare apologia del nazismo.

      Il loro comportamento criminogeno e irresponsabile è la vera minaccia all’ordine pubblico.

      Non si proibisce la sepoltura senza dare una soluzione al problema.

      Non si dice NO all’applicazione delle norme in vigore senza offrire una soluzione alternativa e praticabile al problema.

      Se vogliono che la pena dell’ergastolo sia accompagnata dalla pena accessoria della cremazione e dispersione delle ceneri lo dicano; se vogliono che la pena dell’ergastolo sia accompagnata con lo squartamento del cadavere per darlo in pasto ai maiali… lo dicano.
      La smettano però con i comportamenti puerili che costringono il Paese a essere governato da un cadavere!

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  6. Carissimo Mako, se il segreto regge, mi sembra sia stata trovata la giusta soluzione. E questa soluzione al problema andava ricercata, concordata con i familiari e programmata prima della morte di Priebke, perché forse adesso è meno probabile che il segreto sia rispettato.Comunque il cadavere di Priebke, come Priebke da vivo, rappresenta l’immagine di un orrore troppo grande, impossibile da tollerare.Condannarlo a morte da vivo? Darlo in pasto ai maiali da morto? No certamente! Ma occultarlo, eliminare la sua possibile presenza, seppur simbolica, sì certamente! Abbiamo bisogno soltanto di simboli, monumenti, targhe, studi, commemorazioni e tutto ciò che ricorda l’orrore di Priebke e del nazifascismo. L’orrore…..non Priebke! Ciao!

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  7. LI MORTACCI NOSTRI!
    *****

    Ciao Franco, e ciao Mako. Ben ritrovati entrambi.

    Questo blog meriterebbe più partecipazione; comunque, bella discussione anche solo in due. Il topic – già di per sè bello carico – si è arricchito di altri spunti interessanti.

    Ne approfondisco uno che descrive la mia opinione generale sulla “vicenda Priebke”; magari in seguito ne riprenderò altri in dettaglio.

    Ok; è morto un uomo. Non era esattamente un santo, ma pazienza. Che si fa? Lo si seppellisce, e poi si torna ad occuparsi dei problemi dei vivi.
    Punto. Fine questione (e scusate il freddo pragmatismo)

    In questo caso invece…NO!

    Invece di limitarsi a dire:
    «E’ morto Eric Priebke; funerali domani, e sepoltura nel cimitero di Salutam Asorreta»,
    i media si sono subito incaponiti a montare una questione che altrimenti NESSUNO si sarebbe mai posto:
    «E’ morto Eric Priebke. E adesso dove lo seppelliamo, ‘sto infame? Mica a Roma, eh? Non lo vorrete assieme ai vostri morti perbene, quella carogna!»

    E così l’ascoltatore, opportunamente imbeccato, ha cominciato a vedere un “problema” dove PRIMA non c’era affatto.
    Se avessero sepolto Priebke al cimitero di Roma dopo un funerale assolutamente ordinario, nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare.

    Invece, tendenziosamente, si è VOLUTO (sic!) creare una questione dal nulla.

    Notare la sottigliezza delle interviste agli interessati:
    «Lei – onorevole/sindaco/monsignore/presidente – è FAVOREVOLE O CONTRARIO al fatto che Priebke venga sepolto a Roma?»
    E impostata COSI’, la domanda è già una TRAPPOLA, poiché quando uno ti chiede se sei “favorevole” oppure “contrario” a una certa questione, dà già PER SCONTATO che per te quella questione abbia una ragion d’esistere.

    Viceversa, la risposta più ragionevole è un bel «MA CHI CAZZO SE NE FREGA DI DOVE SEPPELLISCONO PRIEBKE!»
    …ma ormai gli intervistati non potevano più rispondere così, perché ciò avrebbe significato negare che esista il “gravoso problema” di dove seppellire Priebke.

    E se tanto-mi-dà-tanto, allora dovemmo porci l’altrettanto “gravoso problema” di dove seppellire anche Totò Riina, Pietro Pacciani, Vittorio Mangano, Olindo Romano, Bettino Craxi, Donato Bilancia, Bernardo Provenzano…
    Allora che facciamo; riesumiamo tutte le salme dei bastardi dai cimiteri “perbene” e le gettiamo in mare? Oppure creiamo un camposanto apposta per i birbantelli?
    Oppure, più saggiamente, lasciamo che siano i morti a occuparsi di decidere dove seppellire i morti?

    (Beh, basta così, per ora. Scusate se è poco…ma per me è già troppo.)

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    • Caro Franco, caro Ronin non torno su quanto abbiamo già detto sulla necessità di rispettare le regole e le leggi nonché sulla necessità che le Istituzioni gestiscano gli eventi che sono nell’ordine delle cose.

      Non ritengo che il corpo privo di vita di un criminale di guerra rappresenti un’offesa alla memoria e alla storia perché quella memoria l’abbiamo tenuta viva con le armi del diritto e della civiltà.

      Abbiamo chiesto e ottenuto l’estradizione (avremmo potuto mandare un sicario a uccidere Priebke); l’abbiamo processato nel rispetto delle garanzie costituzionali (avremmo potuto metterlo alla gogna in una pubblica piazza); non abbiamo invocato la pena di morte (anzi, abbiamo abolito la pena di morte dal codice penale militare di guerra a ottobre del 1994, quando Priebke era stato già identificato in Argentina); lo abbiamo condannato all’ergastolo concedendogli i benefici degli arresti domiciliari in considerazione dell’età così da consentirgli di vivere in un regime di semi-libertà i suoi ultimi anni (avremmo potuto lasciarlo marcire in una cella)…

      E dopo tali dimostrazioni di civiltà temiamo che il corpo inerte di un criminale di guerra possa divenire un simbolo per tutti i decerebrati d’Italia?

      Anche se ciò fosse avvenuto e avvenisse sarebbe per noi il “simbolo” che abbiamo ancora molto lavoro da fare per affermare la cultura del diritto e della dignità della persona.

      Occultare un cadavere? Mah, non so. Nel nostro ordinamento l’occultamento di cadavere è reato: ti invito a leggere il capo del Codice Penale “Dei delitti contro la pietà dei defunti” (articoli 407 – 413 codice penale). Nessun patto potrà impedire agli eredi di Priebke di rendere noto il luogo della sepoltura e, se non lo conoscono, potranno agire legalmente per conoscerlo, tranne il caso in cui abbiano rinunciato a ogni pretesa su quella ingombrante “eredità”. Ma tutto questo è poco rilevante.

      Un cadavere è un simbolo? Certo, ma siamo noi che decidiamo che valore dare a ogni simbolo.

      Perché non abbiamo distrutto i campi di concentramento? Perché esistono i musei della tortura?
      Per qualcuno questi sono simboli della messinscena dei vincitori o di un tempo in cui le cose funzionavano…
      Sadici, pazzi e psicopatici esisteranno sempre e troveranno sempre qualcosa da eleggere a simbolo della loro bestialità.

      Proprio perché è estremamente facile erigere dei simboli, la cui interpretazione non è mai univoca (pensa a Garibaldi e al Tricolore che per qualcuno non sono propriamente dei simboli positivi), occorre evitare scrupolosamente di caricare qualcosa di significati impropri: se qualcuno è così poco accorto da ritenere che il cadavere di Priebke sia il simbolo del male allora è ragionevole che per altri sia il simbolo di altre non proprio edificanti concezioni dell’uomo e dei rapporti umani. Nel caso di Priebke è stato fatto esattamente quel che non andava fatto: “concorso esterno in apologia di nazismo“, potrebbe essere definito il comportamento delle poco autorevoli Autorità preposte in una perfetta eterogenesi dei fini.

      Uniche difese sono la memoria, la cultura, l’educazione al rispetto e alla dignità delle persone e in ciò rientra anche ricordarsi che un cadavere è solo un corpo senza vita al quale è dovuta pietà, persino per il nostro ordinamento giuridico.

      La sensazione è che anche questa vicenda rientri nella diffusa tendenza a trasformare qualcuno e qualcosa nel simbolo del male assoluto, nell’incarnazione del male; insomma, il solito atteggiamento auto-assolutorio finalizzato ad allontanare le tante responsabilità storiche e morali nell’aver consentito che quel male si affermasse e si diffondesse. Il male e i mostri hanno tanti padri.
      E con questo pensiero rispondo alle osservazioni molto opportune di Ronin: perché non prevedere un cimitero per i “birbantelli”, i farabutti, i malandrini…?
      Già perché!?
      Un corpo è solo uno strumento con cui si compie una azione: si punisce il pugnalatore e non il pugnale.

      Correva l’anno 897 quando si svolse il “Sinodo del cadavere”.
      Fu dissepolto papa Formoso e la sua salma fu posta sul trono nella basilica di San Giovanni in Laterano per rispondere alle accuse che gli vennero mosse. Il processo, voluto da papa Stefano VI, si concluse con un verdetto di condanna per il defunto papa Formoso che fu ritenuto indegno del pontificato. Tutti i suoi atti e gli ordini da lui conferiti furono dichiarati non validi. La salma del pontefice fu denudata e furono mozzate le tre dita della mano destra, quelle utilizzate per le benedizioni. Il cadavere fu trascinato tra la folla per le vie di Roma e quindi gettato nel Tevere.
      Quando occorre il Potere sa servirsi anche dei cadaveri per i propri fini

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  8. «Sadici, pazzi e psicopatici esisteranno sempre, e troveranno sempre qualcosa da eleggere a simbolo della loro bestialità.»
    ____________________________

    Sic et simpliciter. Bravo, Mako (sintesi!!)

    Se io sono uno psicopatico, posso trarre isprazione da QUALUNQUE COSA per manifestare la mia follia. Qualunque! Anche da un ragno che cammina sul soffitto, o da un crocefisso appeso alla parete.
    Perciò non mi si può “inibire” rimuovendo IN ANTICIPO quelli che potrebbero essere gli oggetti della mia identificazione;
    è la stessa mentalità demenziale di quei sociologi che avevano bandito il film “ARANCIA MECCANICA” perchè temevano che la sua violenza potesse istigare tendenze “emulative” in soggetti dalla personalità debole (come dire che Provenzano è diventato un mafioso perchè da giovane ha visto “IL PADRINO”. Ma vafanculo.)

    Nel caso specifico: se a qualche esaltato neghi la possibilità di “adorare” la salma di Priebke, egli non si farà alcun problema a ripiegare su quella di Kappler, o di Galeazzo Ciano, o di Farinacci, o su una semplice foto di Hitler.

    Questo concetto è talmente semplice ed evidente che mi induce ad escludere qualsiasi ipotesi di BUONAFEDE in coloro che hanno montato la ridicola questione “E-adesso-dove-seppelliamo-Priebke?“;
    tutto questo inutile can-can mi sembra piuttosto una polemica gonfiata ad arte per depistare l’attenzione pubblica da altre questioni.

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    • Ohi ohi ohi… il tuo ragionamento, caro Ronin, ci porta al gravoso tema dell’informazione, di come si forma l’opinione pubblica e si crea il consenso.

      Ne ho parlato qui https://macosamidicimai.org/2013/03/24/la-messinscena-della-vita/
      e anche qui https://macosamidicimai.org/2013/03/07/il-giornalismo-e-la-partitocrazia/
      e in fondo il rapporto tra media e politica, tra media e democrazia è presente in gran parte dei miei interventi.

      Non a caso il tema del controllo sulla\della TV è tuttora terreno di scontro senza esclusione di colpi bassi. Osserva come politici e sindacati si agitano subito al semplice accenno di “liberalizzare” la RAI e uso il non menzionato termine “liberalizzare” al posto del menzionato “privatizzare” perché la RAI è già società privata sotto il ferreo controllo dei partiti e delle corporazioni da sempre alleate della partitocrazia… quindi più privata di così non si può! Si potrebbe liberarla ma qualcuno pensa che esista questa volontà politica?

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  9. Avevo letto quei links, Mako, e mi rincresce che siano passati incommentati (che non è “inosservati”, n.b.)
    Anche questo è un sintomo del degrado avanzante, che ci porta a scrivere centinaia di repliche sotto topic del tipo “Chi mi dà consigli su come laccarmi le unghie?”, e fare scena muta di fronte a qualcosa che stimoli più di 2 neuroni alla volta (ma questo è un altro discorso.)

    —–

    Liberalizzare la Rai. Un concetto semplicemente stronzo: infatti, CHI avrebbe la possibilità materiale di mettere le mani sulle azioni Rai? I poveri cristi in buonafede che non hanno una lira…o i soliti noti che GIA’ detengono il possesso della Rai in modo ABUSIVO, così da poterne poi notificare il possesso anche in modo UFFICIALE?

    La Rai non va né “liberalizzata” né “privatizzata”; casomai, la Rai va REGOLAMENTATA. E intendo con regolamenti VERI, non come quelli che – tra interpretazioni arbitrarie, gestione privata di nomine e capitali, e mancati controlli – hanno portato all’attuale situazione della TV di Stato.

    (Ma forse ci stiamo discostando dal tema di partenza. Mi piacerebbe sapere se Franco ha ancora qualcosa da aggiungere in proposito.)

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    • Caro Ronin, ci sono tanti modi per “liberalizzare“, vale a dire mettere sul mercato e ogni liberalizzazione porta in sé la regolamentazione, che può essere più o meno stringente. Nel caso specifico della RAI, io sarei pienamente favorevole a un VERO servizio pubblico televisivo con una sola rete pagata esclusivamente con il canone (o meglio con le imposte dirette) e mettere sul mercato le altre reti creando una vera public company, strada che in Italia non è mai stata perseguita poiché il potere ha sempre preferito depauperare il “pubblico”, vale a dire il “popolo“, per favorire i soliti noti.

      Ma non è questa la sede per discutere di RAI, lasciamo che a parlarne sia la Commissione di Vigilanza di non-è-la-RAI.

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  10. caro Ronin, caro Mako,
    sommessamente ribadisco il mio pensiero. Sopra ho detto: “Condannarlo a morte da vivo? Darlo in pasto ai maiali da morto? No certamente! Ma occultarlo, eliminare la sua possibile presenza, seppur simbolica, sì certamente! Abbiamo bisogno soltanto di simboli, monumenti, targhe, studi, commemorazioni e tutto ciò che ricorda l’orrore di Priebke e del nazifascismo. L’orrore…..non Priebke!”, e questo perchè sono convinto che “l’orrore” è sempre in agguato, è sempre dietro l’angolo, e quello che non voglio assolutamente che avvenga è favorire in qualche-qualsiasi modo anche solo la premessa per il realizzarsi di nuovi orrori! Ciao.

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    • Carissimo Franco, avevo ovviamente letto il tuo intervento; la riflessione che ti ho proposto è sintetizzabile in poche parole: non credi che quel corpo sia stato caricato di valore simbolico negativo elevandolo a “offesa” per Roma?
      Come creare i simboli e i totem.
      L’analisi storica della distruttività umana ci insegna molto sul tema.

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  11. Ehilà, Franco. Ciao.

    Posso iniziare con un piccolo appunto? Tu scrivi:

    «…ma occultarlo, eliminare la sua possibile presenza, seppur simbolica, sì certamente! Abbiamo bisogno soltanto di simboli, monumenti, targhe, studi, commemorazioni e tutto ciò che ricorda l’orrore di Priebke e del nazifascismo. L’orrore…non Priebke!»

    Ecco; secondo me, è il termine “occultare” che rischia di generare equivoci sul tuo reale pensiero.
    Vedi infatti che Mako ha preso il termine “occultare” in senso letterale, e ha ragione di obiettarlo (per i motivi che ha spiegato).
    Io penso invece che tu abbia scritto “occultare” nel senso di “INSORDINARE”, cioè di far passare il tutto (morte, funerale e sepoltura) in sordina, appunto, senza grancasse e riflettori. E in quel caso mi troveresti d’accordo (come pure Mako, credo).

    Infatti ritengo assolutamente INUTILE (e anche un po’ ridicolo) il cercare di vietare a chicchessia di poter “venerare” la salma di Priebke; i motivi li ho esposti nel post del 27 ottobre-18:28

    Va poi ricordato che il principale responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è stato il comandante HERBERT KAPPLER;
    le responsabilità individuali di Priebke (fondamentalmente limitate all’aver rastrellato 5 condannati di troppo) sono state ingigantite dal fatto che lui era l’unico dei colpevoli ancora rimasto in vita.

    Quindi, da vivo come da morto, Priebke non è nemmeno credibile come “simbolo dell’orrore; quella è un’etichetta che gli è stata appioppata in modo arbitrario dai media (e in un certo senso, lui ci ha marciato sopra per darsi una valenza che non meritava).

    Perciò, dove sta il vero “simbolo dell’orrore”? In Priebke…oppure nella zucca vuota di coloro che si sono bevuti L’IMMAGINE di Priebke che gli hanno rifilato i media?

    R.

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    • Ciao Ronin, qualche osservazione su questo tuo ultimo intervento.

      Occultare. Ho inteso il termine nel rapporto con il proposito di una sepoltura segreta rimarcando quanto questo sia un proposito che rischia di tenere costantemente acceso il faro su Priebke: il presupposto di un segreto è il suo disvelamento; un segreto è tale quando non si sa che esiste; in altri termini una cosa non nota non è un segreto ma semplicemente una cosa sconosciuta che in quanto tale può divenire nota. Ho sempre sostenuto la necessità di procedere alla sepoltura senza assegnare arbitrariamente a un cadavere valori simbolici.

      Simbolo dell’orrore. Attenzione. Un sistema feroce come quello nazista, stalinista o altri che hanno violentato il XX secolo non si basano su pochi eccezionali psicopatici ma sulla capacità di costruire “sistema” intorno a un culto della personalità, una persona quasi elevata a divinità, e a una rigorosa disciplina tendente a creare un abito mentale votato alla obbedienza. Sono queste migliaia di persone grigie, apatiche, insignificanti che costituiscono la spina dorsale di ogni sistema fondato su violenza e sopraffazione: obbedendo con zelo hanno la possibilità di dimostrare a se stessi che valgono. Utile può risultare leggere la sentenza di cassazione relativa al processo Priebke http://www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/Priebke_Erich/Pagine/15_sentenza_16-11-98.aspx

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  12. Mako, ho letto la sentenza, e mi scuserai se non la ritengo rilevante per farsi un’idea sulla questione “simbolo dell’orrore”.

    Concordo perfettamente con te sul fatto che i sistemi totalitari si basano su un vasto e complesso apparato socio-politico, e non sui personaggi di vertice che lo rappresentano.
    Lo stesso Hitler, preso di per sé dal punto di vista meramente umano, era un povero ignorante senza particolari doti di strategia politica o militare; il suo unico “pregio” era di essere un buon comiziante, perfettamente funzionale agli scopi di chi l’ha fatto arrivare dove è arrivato (vetta che un bifolco come lui non avrebbe mai potuto raggiungere DA SOLO, obviously).

    Ma naturalmente, il creare un “simbolo dell’orrore” concentrato su un SINGOLO individuo, serve ad assolvere le responsabilità di tutti gli altri affiliati al sistema che il simbolo rappresenta.
    E così, Priebke può accampare di “non avere responsabilità” nell’eccidio, in quanto stava solo eseguendo gli ordini dall’alto.

    Priebke ha “solo” eseguito gli ordini? Sì…se ci limitiamo a vedere le cose in modo superficiale, senza conoscere i trattati internazionali sulle leggi di guerra vigenti in quel periodo. Le alternative c’erano (ad esempio, la rappresaglia – in quelle proporzioni – era illegittima), ma evidentemente sia Kappler che Priebke le hanno ritenute “sconvenienti” per la propria carriera militare, preferendo attenersi pedissequamente alle direttive suggerite da Berlino.

    Ma se chi esegue gli ordini è innocente, allora NESSUNO è colpevole.
    Allora che facciamo; diamo la colpa di tutto alla sfortuna?…

    R.

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    • OK Ronin, ti citavo la sentenza proprio perché contribuisce a far emergere la figura di una persona grigia che obbedisce con zelo trovando in ciò la propria gratificazione e ragion d’essere. Sono queste persone che consentono a un regime di affermarsi e consolidarsi. In questo senso ti ho invitato a leggere la sentenza; non per definire il “simbolo dell’orrore”.
      Sbagliato e liquidatorio attribuire a una persona l’orrore di un regime.
      Queste riflessioni mi fanno ritornare alla memoria una lettura di tanti anni fa: Psicologia di massa del fascismo, Wilhelm Reich.

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