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Pro Life, quale vita?

194 Periodicamente il movimento “pro-life” manifesta la propria opposizione all’aborto e alla legislazione che regola l’interruzione volontaria della gravidanza. Dalla rappresentazione data si potrebbe pensare che qualcuno sia contrario alla vita o che la pratica dell’aborto sia iniziata con le leggi che regolamentano il ricorso alla interruzione volontaria di gravidanza. Ridurre il problema a uno schema di opposti schieramenti è una banalizzazione inaccettabile. Non esiste qualcuno che è favorevole all’aborto; altri sono gli interrogativi da porsi. Regolare per legge l’interruzione volontaria di gravidanza è o non è opportuno? Come contrastare efficacemente le gravidanze indesiderate? Come gestire l’evento indesiderato?

A prescindere dal proprio personale convincimento, la vita della madre non è sullo stesso piano di quella del nascituro. Partiamo da una situazione immediatamente percepibile per comprendere il problema sul piano etico e sociale.

Se si considera ammissibile l’aborto in caso di pericolo di vita per la madre, ne consegue che la vita della madre non è sullo stesso piano di quella del nascituro; le due vite e i diritti dei due soggetti sono posti su livelli diversi di tutele.

Se si ritiene che anche quando c’è pericolo di vita per la madre l’aborto debba essere vietato, si accetta l’idea che la vita di chi è già persona è sacrificabile in nome della tutela di colui che forse sarà persona.

Sulla base di queste considerazioni, con la sentenza n. 27 del 1975 la Corte Costituzionaledichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”. L’obbligo di portare a termine la gravidanza è incostituzionale.

Allo stesso modo è incostituzionale il diritto potestativo della donna sul concepito. Infatti, la nostra legge non riconosce il diritto di aborto ma la facoltà a determinate condizioni oggettive e soggettive di poter ricorrere all’aborto.

194_2Sul piano giuridico siamo in presenza di diritti concorrenti e contrapposti che devono trovare un bilanciamento; sul piano etico è in gioco la coscienza e la responsabilità individuale.

Si può, dunque, essere contro l’aborto e contemporaneamente favorevoli alla regolamentazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. E’ una contraddizione? No, non credo. L’aborto è sempre esistito e laddove non c’è regolamentazione avviene nella illegalità, provocando tragedie che si sommano alla tragedia dell’aborto. Gli aborti sono diminuiti notevolmente da quando esiste la legalizzazione dell’aborto; prima era solo clandestino, e il silenzio sul tema era assordante.

Combattere l’aborto significa affermare il “principio di responsabilità ovvero, affermare che ogni libertà, quella sessuale compresa, per essere gestita richiede educazione e informazione.

Essere contrario all’aborto significa evitare situazioni dalle quali possa derivare una gravidanza indesiderata. Anche questo è un concetto di buon senso affermato dalla Corte Costituzionale già nel 1971 con la sentenza n. 49 che sancì l’illegittimità   dell’articolo 553 del codice penale (l’art. 553 c.p. recitava: “Incitamento a pratiche contro la procreazione – Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro“). La Corte ritenne “necessario rilevare che la tutela della salute e della maternità, garantite dalla Costituzione (artt. 31 e 32), richiede che, riconosciuta la liceità della propaganda anticoncezionale, questa formi oggetto di una appropriata disciplina, diretta a impedire l’incitamento all’uso di mezzi riconosciuti dannosi, direttamente o nei loro effetti secondari, per la salute.

Occorre quindi distinguere la sfera etica dalla sfera giuridica.

Se le leggi obbedissero esclusivamente a principi etici apriremmo le porte a una regressione di tipo assolutista o totalitaria. Il peccato non è automaticamente reato. La morale non può essere imposta con i carabinieri. Anche chi è credente non può dimenticare che il progetto divino per l’uomo prevede la libertà di scegliere tra il bene e il male; Dio non ha voluto imporre all’uomo il bene; ne consegue che solo nella libertà c’è eticità.

D’altra parte, i ghetti, le persecuzioni degli eretici, il razzismo, la schiavitù, ma anche le leggi che proibivano l’accesso delle donne al voto o che punivano la violenza carnale come reato contro la moralità pubblica e non contro la persona,  rispondevano a istanze etiche, a una idea etica della legge, dello stato, della famiglia, del ruolo della donna.

Tutti siamo contrari all’aborto, nessuno fa propaganda per l’aborto. Il contrasto è tra chi ritiene che l’aborto si sconfigga con la punizione e la repressione e chi ritiene che si contrasta più efficacemente l’aborto con la regolamentazione e la prevenzione.

La strada della punizione e repressione l’abbiamo percorsa, senza esito (e nessun esito hanno gli Stati che continuano a proibire e punire duramente l’aborto).

La strada della regolamentazione anche, con apprezzabili risultati.

Sulla prevenzione si fanno ancora pochi sforzi e non comprendo perché nei discorsi degli “irriducibili” la prevenzione non è quasi mai presente.

Se tornassimo alla repressione e alla punibilità torneremmo al passato; d’altra parte, dove la repressione è in vigore, l’aborto avviene in clandestinità. In Italia, prima della legge 194,  la pena vera consisteva nel far correre un rischio enorme, sino alla morte, a chi abortiva clandestinamente; per il resto si fingeva di non vedere e di non sapere, salvo casi eccezionali che divenivano di dominio pubblico e allora s’imponeva l’azione giudiziaria.

Quando si propone l’abrogazione della legge 194, senza affrontare tutte le conseguenze che ne deriverebbero, sembra di assistere allo spettacolo di tifoserie urlanti con l’immancabile sventolio di bandiere.

Infatti, andrebbe profondamente modificato il nostro ordinamento nel caso si dovesse abolire la 194 o si dovesse estendere al nascituro la capacità giuridica di cui all’art. 1 del Codice Civile.

Giuridicamente impraticabile la semplice abrogazione della legge 194/78 perché l’obbligo giuridico di portare a termine la gravidanza è stato ritenuto incostituzionale dalla nostra Corte Costituzionale.

Non si cancella l’aborto dalla vita civile semplicemente tornando a considerarlo reato: se ciò dovesse avvenire avremmo solo il ritorno al passato.

Se oltre ad abolire le leggi che contemplano la possibilità di abortire, si vuole anche affermare che l’aborto è un omicidio e che il nascituro deve avere le stesse tutele riconosciute ai nati (secondo l’attuale accezione giuridica), allora l’intero ordinamento deve essere profondamente modificato: irresponsabile eludere una questione così rilevante.

Considerare sullo stesso piano la vita della madre e del nascituro porterebbe a conseguenze catastrofiche sul piano giuridico e sociale.

Quindi, se la battaglia etica intende affermarsi producendo modifiche alle leggi attuali, allora è ineludibile affrontare il “come” e non limitarsi a roboanti affermazioni.

L’unico modo per combattere la diffusione dell’aborto è impegnarsi per affermare il principio di responsabilità; affermare che ogni libertà, quella sessuale compresa, per essere gestita richiede educazione e informazione.

Le politiche repressive, dalla quale anche l’Italia proviene, hanno determinato il ricorso all’aborto nella clandestinità. La legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza ha consentito la gestione sociale del problema favorendone la diminuzione costante e soprattutto la riduzione della recidività.

La 194, paradossalmente, è inapplicata proprio nella parte dedicata alla prevenzione. I consultori sono in numero inferiore rispetto a quanto previsto per legge, la scuola è ancora in fortissimo ritardo, la TV pubblica (e anche privata) non dedica alcuno spazio al tema della sessualità e della prevenzione sia per i giovani sia per gli adulti.

La famiglia è il più delle volte impreparata nel gestire con i figli le tematiche della sessualità.

Basta leggere le tabelle allegate alla relazione annuale del Ministero della Sanità sulla IVG per verificare che la metà degli aborti è praticato da donne coniugate, separate\divorziate o vedove. Sono più frequenti gli aborti tra le over 35 rispetto alle minori di anni 19. Circa la metà delle IGV è praticata da donne occupate, diplomate o laureate. L’aspetto più interessante è la costante diminuzione nel tempo del ricorso all’aborto sia in numero assoluto, sia riguardo alle nascite e in rapporto al numero di donne in età fertile, così come il progressivo calo col crescere della scolarizzazione.

Evidente che si tratta di una questione di cultura della responsabilità, nella quale svolge un ruolo fondamentale l’informazione, la prevenzione, le politiche per incentivare la sessualità responsabile e il ricorso alla contraccezione sicura.

Adoperiamoci allora perché la società nel suo insieme promuova una cultura della responsabilità. Solo così l’aborto potrà essere ridotto drasticamente.

16 thoughts on “Pro Life, quale vita?

  1. Su alcune cose sono d’accordo, ma su una in particolare vorrei concentrarmi: non hai contemplato la possibilità di dare i figli in adozione, nel caso non li si possa mantenere. La mancanza di sostentamento, infatti, è una delle cause della decisione di abortire. Inoltre, penso che la possibilità di abortire in base all’età del feto sia assurda: significa che fino a 20 settimane è un grumo di cellule senza valore e quando ha 20 settimane e un minuto è già quasi umano? Chiaro, è giusto sacrificare il bambino qualora sia un pericolo per la madre. La legislazione va cambiata, perché l’aborto è troppo semplice, non vengono considerate neanche le implicazioni psicologiche post-aborto, gravissime. Infine, questa situazione non fa che aumentare l’astio verso i medici obiettori.

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    • Ti ringrazio, Antares1989, per le preziose questioni che poni.

      L’adozione. E’ un tema di grande rilievo e ci sono organizzazioni attive proprio per accompagnare le donne lungo la gravidanza e nell’iter per l’adozione come soluzione alternativa all’aborto. Questo tema conferma quanto sia importante il dialogo ed evitare la criminalizzazione e la colpevolizzazione.
      Il tema rimanda anche a quello della prevenzione delle gravidanza indesiderate. Sul fronte della prevenzione si fa pochissimo. E questo aspetto mi sta molto a cuore perché la responsabilità individuale è la più grande risorsa che una società democratica deve coltivare.
      Occorre anche domandarsi perché pur essendo garantito il parto in totale anonimato ci sono donne che preferiscono partorire in segreto e uccidere il bambino o abbandonarlo in un cassonetto dei rifiuti. Non credo si tratti solo di ignoranza dei propri diritti. Penso che queste persone temono più il giudizio del mondo, gli occhi del mondo che non i morsi della propria coscienza. Una società civile e cristiana aiuta anche a chiedere aiuto, senza giudicare, condannare, biasimare.

      L’età del feto. La legge bilancia diritti concorrenti: da una parte la donna che è già persona e dall’altra parte una nuova vita ancora non autonoma e indipendente. La questione non è mai “un grumo di cellule senza valore e quando ha 20 settimane e un minuto è già quasi umano”. Ogni vita è dal punto di vista biologico un insieme di cellule ma dovendo stabilire un bilanciamento tra situazioni opposte occorre determinare un limite per l’esercizio consapevole di una facoltà senza che questa facoltà diventi l’affermazione di un principio folle del tipo “il feto è mio e ne faccio quel che voglio”. No, il feto non è proprietà della madre e la legge respinge categoricamente il diritto potestativo sull’embrione.

      La legge va cambiata. Tutte le leggi sono migliorabili; riguardo alla 194 la parte inapplicata è proprio quella relativa alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e ai consultori che sono in numero inferiore a quanto previsto per legge. Credo tu abbia pesato male le parole quando scrivi “l’aborto è troppo semplice” e poi ti preoccupi delle conseguenze psicologiche post-aborto. No, l’aborto non è mai semplice anche perché le strutture sanitarie violano la legge non ottemperando alle disposizioni che impongono di garantire la prestazione sanitaria. In molti luoghi d’Italia si sta tornando alla clandestinità perché è impossibile abortire. Non è semplice perché mai – o quasi mai – una donna prende con leggerezza la decisione di abortire, che in ogni caso per essere posta in essere prevede un iter lungo e emotivamente coinvolgente.

      L’obiezione di coscienza. Riguardo all’astio verso i medici, mi sembra una questione totalmente mal posta. L’obiezione di coscienza è una grande conquista e ritengo vada estesa in ogni ambito in cui questioni di coscienza entrano in gioco.
      Vanno però garantiti anche i servizi pubblici. Conseguentemente, l’esigenza di tutelare il diritto all’obiezione di coscienza deve confrontarsi con la necessità di garantire il servizio. L’organizzazione di un pubblico servizio deve tener conto di queste esigenze conflittuali e non sanabili. La legge 194 dopo aver riconosciuto il diritto all’obiezione all’art. 9 comma 4 prevede che gli enti ospedalieri sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti e la “regione garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”: questo non avviene e ci sono strutture pubbliche che non garantiscono l’intervento.
      Vorrei ricordare che l’obiezione di coscienza per il servizio militare obbligatorio era sottoposta a valutazione di una commissione e prevedeva un aspetto “punitivo” per chi era ammesso all’obiezione: il servizio civile inizialmente aveva una durata doppia rispetto al servizio militare.
      Possiamo anche, e sono favorevole, pensare a un diritto all’obiezione senza “censori” e “punizioni”, ma a patto che il servizio sia sempre e in ogni luogo garantito. Diversamente il diritto di alcuni andrebbe a scapito del diritto di altri. Le Istituzioni ne tengano conto creando le condizioni più ampie possibili di liberalizzazione dei servizi e istituendo centri sanitari ad assoluta vocazione “laica” perché lo Stato ha il dovere di applicare la legge. E’ compatibile con il Servizio Sanitario Nazionale il dato oggettivo che in alcune realtà del nostro Paese sia impossibile il ricorso all’aborto? Allora si estenda la possibilità di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza anche alle strutture private e in ogni centro sanitario pubblico si assicuri la presenza di un minimo di personale non obiettore. In alcune strutture chi non è obiettore spesso si occupa solo di aborti; non è esattamente l’aspirazione professionale di un medico praticare solo aborti e in realtà è troppo facile sottrarsi a un compito sgradevole quando da ciò derivano solo vantaggi o in ogni caso nessun svantaggio.

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      • Però mi sembra che assumere forzatamente personale non-obiettore, o comunque limitare l’assunzione di medici obiettori sia un’evidente discriminazione religiosa. Un medico obiettore ha gli stessi diritti lavorativi di un non-obiettore, e non può essere obbligato a praticare aborti. Se, inoltre, in un ospedale non si trovano medici disposti a praticare un aborto, si cambia semplicemente ospedale. Hai detto che l’aborto non è mai una cosa facile: per un evento di questa portata, quindi, credo che qualche chilometro lo si possa fare, no?

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      • Chi ha detto che il personale deve essere assunto forzatamente? Nessuno vuole obbligare nessuno. Se si cerca un boia si verifica la sua idea sulla pena di morte… Non si assume un boia per poi scoprire che non esegue le pene capitali perché è un obiettore di coscienza. Allo stesso modo, se si assume personale sanitario in un reparto in cui è previsto anche l’intervento di IVG bisogna accertare che il personale assunto sia idoneo al servizio. In ogni caso è la legge che prescrive ciò e la Regione è obbligata a garantire l’effettuazione del servizio. Che ne diresti se un medico testimone di Geova si rifiutasse di praticare una trasfusione di sangue? O se un induista assunto in un macello si rifiutasse di macellare bovini? Non è una questione di diritti del lavoratore ma di assicurare un servizio per il quale è necessario personale idoneo e se il numero di coloro che si rifiutano è così elevato da rendere impossibile assicurare il servizio è ovvio che occorre assumere personale adeguato perché il tuo diritto non può calpestare quello altrui soprattutto quando dal dire “no” non hai alcun danno. Quanti si sarebbero dichiarati obiettori di coscienza al servizio militare se non ci fosse stata alcuna penalità? se fosse bastata una semplice dichiarazione in fede?

        Decisamente di cattivo gusto l’ironia del fare qualche chilometro per cercare un posto che assicuri un servizio che spetta per legge, considerato che proprio così poi passa il tempo e talvolta succede che il posto si trova ma bisogna attendere settimane… E torna l’aborto clandestino, di cui nessuno si preoccupava fino a quando non è iniziata la battaglia per il riconoscimento della facoltà di interrompere la gravidanza.

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      • La mia ironia non voleva essere offensiva. Ho solo detto che, se non si trova un medico in un ospedale, lo si può cercare in un altro. Se l’ospedale della propria città ha solo obiettori, si può prenotare l’intervento da un’altra parte. Che le liste d’attesa siano lunghe è vero, ma è così dappertutto. Se nell’ospedale di Modena ci sono solo obiettori posso andare in quello di Reggio Emilia, e il tempo di attesa non cambia.
        Quanto al resto, gli esempi che hai fatto non mi sembrano calzanti: un macello ha poco a che vedere con un ospedale, e una trasfusione la può fare anche un semplice infermiere. Garantire il servizio di IVG non significa discriminare i medici obiettori. Significa assumerne anche di non obiettori. E ripeto, decidere di abortire a Modena o a Reggio Emilia non fa molta differenza (non parlo di Perth e Dublino).

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      • Mi sembra che tu non colga la serietà e la gravità della questione. Il problema non è Modena o Reggio Emilia ma il fatto che in intere regioni d’Italia non è possibile effettuare l’IVG con la conseguenza che si sta tornando all’aborto clandestino o alla migrazione da una regione all’altra per effettuare la IVG e lottare contro il tempo.
        Il diritto di uno non può calpestare il diritto degli altri. L’obiezione non riguarda solo i medici ma tutto il personale sanitario. Quindi, se il ricorso all’obiezione è tale da pregiudicare la possibilità di dare la prestazione dovuta, il servizio sanitario dovrà organizzarsi di conseguenza.

        Gli esempi sono calzanti perché hai fatto riferimento ai diritti dei lavoratori e al rischio di discriminazioni. Se il lavoro prevede anche una pratica alla quale qualcuno potrebbe essere contrario per ragioni religiose, filosofiche, etiche… è evidente che il datore di lavoro accerterà prima la disponibilità della persona a svolgere la funzione prevista. A maggior ragione se per legge deve essere assicurato il servizio: occorre organizzarsi in modo che possa essere garantita la prestazione pur rispettando il diritto del singolo.

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      • Mi sembra assurdo continuare a discutere su dove si fa l’intervento: è vero che ci sono molti medici obiettori, ma sicuramente non serve un viaggio transoceanico per trovare una struttura dove abortire. E’ un falso problema.
        E non si tratta di calpestare i diritti altrui: il diritto di un medico a non praticare IVG non pregiudica quello di una donna di abortire, visto che può farlo quasi dappertutto. Quando le strutture ospedaliere includeranno nei termini di assunzione il non essere obiettore si verificherà una discriminazione religiosa non solo in contrasto con la Costituzione, ma anche con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

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      • Ciascuno è libero di pensarla come vuole ma se si vuole comunicare occorre mettersi d’accordo sulle parole e sul loro significato.

        Ho detto e riconfermo che in base ai dati ufficiali in tante regioni è praticamente impossibile praticare l’IVG. Non si tratta quindi di fare qualche chilometro o prendere un autobus anche perché ci sono precisi termini temporali per effettuare l’intervento. Mi sembra che le tue affermazioni del tipo “si può farlo quasi dappertutto” denotino la non conoscenza del problema reale. I dati ufficiali parlano di oltre l’80% dei medici e circa il 50% del personale sanitario che è obiettore. Esistono molte denunce in proposito per l’impossibilità di effettuare in tempi certi l’IVG. Basta leggere la relazione annuale del ministero della Sanità per avere un quadro che è più roseo rispetto alla realtà. Vedi per esempio la recente inchiesta di Repubblica http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2013/05/23/news/aborti_obiettori_di_coscienza-59475182/ o le denunce della LAIGA (Libera Associazione Ginecologi per l’applicazione della 194).

        Il diritto ad avere una prestazione prevista per legge e autorizzata ai sensi di legge, che obbliga il servizio sanitario a garantire la prestazione, è superiore al diritto del singolo a obiettare per cui non c’è alcuna discriminazione se per assicurare il servizio le strutture sanitarie si dotano di personale idoneo. E’ l’istituzione che si fa carico di garantire il servizio pur ammettendo il diritto del singolo. Fino a prova contraria l’Istituzione e l’interesse generale prevalgono sul diritto del singolo e quindi tirare in ballo la Costituzione e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è totalmente privo di qualsiasi spessore giuridico. In caso contrario si rischierebbe l’uso strumentale dell’obiezione da parte del 100% del personale (tanto non si perde nulla e non si rischia nulla e non si ha alcun svantaggio) e così di fatto vanificare e svuotare una legge che ha avuto anche il merito di portare alla riduzione del tasso di abortività e soprattutto di ridurre il tasso di recidività.

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      • Forse sono io che mi spiego male. Spostarsi da regione a regione, oggi, non è un problema: per quanti ritardi possano esserci, non metti più di due giorni per andare a Siracusa partendo da Trento. Basta muoversi per tempo, è vero. Se si può abortire entro la x settimana, basta cercare una struttura ospedaliera qualche mese prima. La lentezza della sanità, poi, è ovunque: servono mesi anche per un’appendicectomia, e non c’entrano i medici obiettori.
        Ti faccio una domanda: se sono l’unico medico non-obiettore di un ospedale, poi mi converto e divento obiettore anch’io, merito di essere licenziato per fare spazio ad un altro non-obiettore? Parli di priorità della prestazione sul diritto del singolo. Non ricordi che l’intero sistema di diritti occidentale è fondato sull’individuo? Lo scenario che prospetti tu appartiene a un regime collettivista. Nessuno può obbligare un medico a praticare un interviento, e un ospedale non può licenziare un obiettore semplicemente perché ha bisogno di non-obiettori. Non sono leggi che ha fatto il Papa, bensì la Repubblica Italiana.

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      • “Se si può abortire entro la x settimana, basta cercare una struttura ospedaliera qualche mese prima.

        Ti rendi conto di cosa stai sostenendo?
        Solitamente le donne scoprono di essere in gravidanza quando sono già nel secondo mese; il tempo di fare le analisi, accertare lo stato di gravidanza, decidere cosa fare, andare in una struttura sanitaria, avviare l’iter per la IVG, attendere nel caso la settimana obbligatoria di riflessione… e fatalmente si arriva al terzo mese; spesso si arriva al limite dei 90 giorni vuoi perché la scoperta della gravidanza avviene in ritardo vuoi perché la donna è combattuta a lungo sulla scelta da prendere. Non c’è tempo da perdere e non c’è alcuna ragione per costringere una donna a un calvario per cercare di città in città la struttura disponibile. Cosa credi che basti fare una telefonata? Scusi se vengo da voi posso abortire?
        Documentati, così scoprirai la realtà del problema.

        Nelle tue parole leggo la volontà di combattere in modo capzioso e surrettizio non l’aborto ma una legge che consente la gestione regolamentata di un problema che un tempo era vissuto nella clandestinità aggiungendo dramma a dramma, una legge che ha consentito anno dopo anno di ridurre il ricorso all’aborto e di ridurre la recidività grazie al rapporto instaurato dal personale socio-sanitario con le donne che hanno affrontato il problema della gravidanza indesiderata. Invece di preoccuparti del fatto che mancano i consultori, in numero inferiore a quanto prescritto dalla legge, che manca totalmente l’educazione alla sessualità e la prevenzione… ti accanisci su un dato che non esiste (non c’è un solo medico al quale è stato negato il diritto all’obiezione di coscienza) mentre ci sono donne che devono andare all’estero per abortire o sostenere spese straordinarie per andare ad abortire lontano dal luogo di residenza o ricorrono all’aborto clandestino. Basta osservare il numero sempre crescente di denunce per rendersi conto che il problema non è la negazione del diritto a obiettare ma la negazione di una prestazione prevista dalla legge e riservata solo a determinate strutture.
        Non si allarga la facoltà di poter praticare l’IVG anche alle strutture private e non si procede all’assunzione di personale idoneo per la prestazione che deve essere garantita.

        Il tuo insistere sul tema che non si può obbligare un medico a praticare un intervento è un modo capzioso di argomentare poiché nessuno chiede o pretende ciò. Ma se una struttura sanitaria deve dare una prestazione occorre che si organizzi per farlo e se tutto il personale obietta allora si organizzerà per garantire il servizio. Indicami per cortesia quale norma di legge sarebbe violata.
        Esistono due esigenze contrapposte che devono essere entrambe soddisfatte. Da un lato garantire un servizio, dall’altro garantire il diritto all’obiezione.
        Non c’è bisogno di licenziare nessuno; se un medico diventa obiettore si sposta ad altri servizi e per praticare l’IVG si procede all’inserimento di personale idoneo. Se un ospedale ha bisogno di personale per garantire un servizio che la legge impone di garantire, assume o stipula accordi con personale adatto. Semplice, chiaro e perfettamente legale. Ogni obiezione a ciò è totalmente privo di qualsiasi presupposto giuridico. E se le donne iniziassero a presentare denunce all’autorità giudiziaria probabilmente molti smetterebbero di fregarsene degli obblighi di legge.

        Il richiamo al diritto occidentale fondato sull’individuo, permettimi di dire che è fuori luogo. Che c’entra il regime collettivista? In base alla nostra Costituzione ogni cittadino ha pari dignità quindi il diritto del singolo non può affermarsi a scapito dell’altrui diritto; ogni attività economica e persino la proprietà privata deve avere funzione e utilità sociale…
        Non è esatta la tua sintesi “priorità della prestazione sul diritto del singolo“; ho scritto che “il diritto ad avere una prestazione prevista per legge è superiore al diritto del singolo” perché “l’istituzione e l’interesse generale prevalgono sul diritto del singolo“. Non è la priorità di una prestazione ma il diritto a una prestazione garantita per legge. Mi sembra un concetto chiaro.
        C’è una legge che prevede obblighi ben definiti in capo alle strutture sanitarie pubbliche incaricate di un servizio pubblico: istituzione e interesse generale; la stessa legge che riconosce il diritto al singolo di sottrarsi dall’effettuare una prestazione che considera contraria alla propria coscienza. Il diritto del singolo non può cancellare l’istituzione e l’interesse generale. Qualora l’esercizio del diritto individuale non consenta la prestazione prevista per legge (e la legge impone che in ambito regionale occorre provvedere perché l’IVG sia effettuabile) la struttura incaricata deve prendere gli opportuni provvedimenti e la legge stessa (art. 9 comma 4 legge 194/78) impone alla regione di assicurare la prestazione anche attraverso la mobilità del personale. Se la struttura non ha personale, provvederà ad assumerlo e se serve personale per il reparto oculistico non assumerà odontoiatri, ti pare? Se servono cardio-chirurghi non assumerà ortopedici; se servono medici in grado di effettuare IVG assumerà personale idoneo allo scopo. Nulla vieta alla struttura pubblica di stipulare accordi con medici e personale sanitario disposto a effettuare le IVG e organizzare un servizio garantito presso la struttura pubblica in base alle richieste. Ciò si definisce adempimento delle proprie funzioni.

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      • Evidentemente non mi sono spiegato bene: non ho mai detto che medici (in Italia) siano stati licenziati in quanto obiettori. Io sostengo che un medico non può essere discriminato in base alle proprie credenze e al proprio senso morale. Se un ostetrico è molto bravo ma è obiettore non vedo problemi a fargli condurre tutte le gravidanze, assegnando gli aborti a un ostetrico non-obiettore. Al pari, non mi sembra la soluzione ideale assumere medici solo in quanto non-obiettori tralasciando ostetrici magari molto più bravi ma obiettori. Solo questo.
        L’aumento dei medici obiettori significa che sempre più ostetrici decidono di salvare vite, non toglierle, e il conseguente aumento della difficoltà di trovare strutture ospedaliere che garantiscano l’IVG si spera possa indurre molte più donne a un ripensamento. Ad esempio, quelle che vogliono abortire in quanto non sono nelle condizioni economiche di mantenere un figlio: si partorisce e lo si fa adottare, ci sono migliaia di aspiranti genitori che non aspettano altro.
        Hai ragione, c’è un conflitto di diritti, quello di garantire la prestazione e quello di non praticarla. Dato che è assurdo obbligare una persona a compiere un atto così in contrasto con la propria etica (come potrebbe un medico che crede nella sacralità della vita praticare un aborto, per quanto distacco professionale possa esserci?), credo che la soluzione migliore sia quella che ho detto: continuare ad assumere ostetrici in base alle loro capacità, e destinare agli aborti solo quelli non-obiettori. Non assumere un medico in quanto obiettore è una palese discriminazione religiosa. Per certi versi è problematico, ma tant’è.

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      • Riepiloghiamo.
        Non è mai stato negato il diritto all’obiezione a nessun medico; se la permettono spesso anche in occasioni nelle quali non è consentito dalla legge (assistenza antecedente e conseguente all’intervento) e non mi risulta ci siano state conseguenze disciplinari o altro. Quindi, in generale, è la prima volta che in Italia il riconoscimento del diritto di obiezione è senza conseguenze e svantaggi per chi se ne avvale senza nemmeno dover sostenere un esame inquisitorio, come avveniva a chi faceva obiezione per il servizio militare; e di tutto ciò sono lieto perché ritengo importante affermare il diritto all’obiezione di coscienza, ma non mi nascondo le problematicità che essa comporta.

        Detto ciò, perché prendere del personale non obiettore dovrebbe comportare il tralasciare altro bravo personale? Non esiste proprio questa contrapposizione che presenti come inevitabile conseguenza. Nessuno ha affermato o proposto di discriminare qualcuno e nemmeno a priori di assumere personale non obiettore; quel che si sostiene è il rispetto della legge la quale prescrive che il servizio deve essere garantito. Se una struttura, tra quelle per legge indicate per la IVG, non dispone di personale non-obiettore ha il dovere di organizzarsi e per farlo è sufficiente avviare delle collaborazioni con medici e personale sanitario non obiettore, non è necessaria l’assunzione, come avviene in tanti altri casi in cui si procede con rapporti di collaborazione. Quindi, la contrapposizione che tu paventi è fuori dalla realtà. I bravi medici restano al loro posto e il brutto sporco lavoro è affidato a chi è disposto a farlo; il problema è che molte strutture sanitarie si limitano a registrare il dato che tutto il personale in servizio è obiettore senza darsi da fare per trovare soluzioni e adempiere agli obblighi di legge. Questo è inaccettabile, oltre a essere illegale e auspico che le donne trovino la volontà di denunciare all’autorità giudiziaria gli inadempienti responsabili delle strutture sanitarie.

        Il dato che aumenti il numero di medici obiettori è anche dovuto al fatto che spesso il medico non obiettore viene relegato a effettuare solo aborti… la circostanza è stata pacificamente ammessa da tanti medici.

        Con molta franchezza non ti nascondo che trovo molto sconveniente perseguire l’obiettivo del “ripensamento” rendendo difficile trovare strutture sanitarie in cui si effettua la IVG. Sconveniente, ma anche inaccettabile proprio sul piano etico che tu evochi perché i mezzi devono sempre essere coerenti con il fine che si persegue. Non è mai “bene” ottenere qualcosa attraverso la costrizione e la violazione di una norma di legge (che ribadisco impone alle Regioni di assicurare il servizio).

        Le gravidanze indesiderate si combattono con la prevenzione e l’educazione. Quando educazione e prevenzione falliscono, allora ci sono le soluzioni alternative, tra cui anche l’adozione, certamente preferibile all’aborto, almeno sul piano teorico. Dico teorico perché comporta moltissimi problemi di ordine psicologico, sociale e materiale.
        Spesso la donna che abortisce ha problemi di ordine economico e quindi servirebbe assistenza economica alla donna durante tutta la gravidanza; spesso ha problemi di lavoro (irregolare, che rischierebbe di perdere). Chi provvede?
        I problemi psicologici e sociali sono spesso insormontabili.
        Il primo problema è che oltre la metà delle donne che ricorrono alla IVG sono sposate con figli; difficile in questa condizione portare a termine una gravidanza per tutte le implicazioni che ci sono con gli altri figli e la famiglia in genere.
        C’è per tutte le donne un problema enorme di accettazione. Conoscenti, amici, parenti, colleghi… tutti saprebbero di questa gravidanza e raccontare che il bambino è stato dato in adozione non è affatto facile.
        Non ti “liberi” più del problema mentre l’aborto appare più gestibile nella dimensione individuale o di coppia, e in effetti lo è se si considera la cultura dominante e l’idea quasi “proprietaria” ancora diffusa riguardo ai figli. Con questa realtà occorre fare i conti. E’ un aspetto di quel problema che ho già segnalato: le donne che preferiscono abbandonare il bambino o addirittura ucciderlo invece di partorire in anonimato. Il giudizio degli altri. Gli occhi del mondo. Se si continua a definire “assassina” una donna che abortisce, sarà difficile far crescere in una donna l’accettazione della non disponibilità a essere genitore pur generando, vincendo il giudizio pubblico che in ogni caso sarà pesante e spietato.
        Quindi, non ci sono dubbi sul fatto che ci sarebbero migliaia di coppie felici di avere un figlio in adozione (personalmente ritengo preferibile proporre e diffondere l’idea dell’affido), ma non bisogna trasformare la donna in una semplice “fattrice e la nostra società non è affatto pronta a farsi carico delle problematiche legate alla soluzione che tu prospetti.
        Basti osservare come sono abbandonate a se stesse le famiglie che decidono di mettere al mondo un figlio nella consapevolezza che avrà problemi perché “
        non è normale” per comprendere che è facile parlare ma poi dov’è la società? Non riusciamo a garantire nemmeno gli asili nido, figuriamoci affermare l’idea della adozione come soluzione all’aborto.
        In ogni caso, se sviluppassimo di più l’idea dell’affidamento come soluzione sociale al problema, credo avremmo maggiori possibilità di successo poiché si affermerebbe lentamente la cultura che un bambino è un “patrimonio della collettività” che necessita di cure, attenzioni e amore a prescindere dal dato biologico.
        Oggi, sono assolutamente convinto che la vera soluzione al problema aborto sia
        – educazione
        – prevenzione
        – servizi sociali efficienti.
        Tutte le altre ipotesi sono non-rimedi che comportano gradi diversi di dolore e sofferenza.

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      • Da parte mia, sono d’accordo quando dici che sono le strutture sanitarie che devono farsi carico del problema di trovare medici non-obiettori. Il problema è loro. Ed è responsabilità dello Stato aumentare la disponibilità di consultori. Talvolta il diritto all’obiezione di coscienza va in contrasto con il diritto di abortire, e credo che sia da preferire in primo, in quanto il secondo, comunque lo si veda, è un omicidio.
        Quanto al resto, ritengo che più dell’educazione servirebbe una responsabilizzazione, e, soprattutto, la consapevolezza che sono numerosissime le associazioni cattoliche preposte ad aiutare le donne in questa difficoltà. Senza contare i numerosi studi che sono stati fatti riguardo alla depressione post-aborto, che è molto più grave di quanto si pensi.

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      • Assolutamente d’accordo; infatti, ho sempre sostenuto che sono le strutture sanitarie che devono organizzarsi e mai ho pensato che vada ridotta o criminalizzata l’obiezione di coscienza. Dello stesso avviso, per quanto mi risulta, sono le associazioni che chiedono il rispetto e l’applicazione della legge 194.

        Leggendo il mio primo intervento sul tema non ti sarà sfuggito che ho affermato
        “Combattere l’aborto significa affermare il “principio di responsabilità” ovvero, affermare che ogni libertà, quella sessuale compresa, per essere gestita richiede educazione e informazione.”
        Educazione e informazione sono intrinsecamente parti di qualsiasi programma teso ad affermare il principio di responsabilità, vale a dire responsabilizzare; che si parli di alimentazione o di comportamento alla guida, di sessualità o di lavoro…

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      • Mi fa piacere aver trovato un punto di accordo. Evidentemente c’è stato un errore comunicativo fin dall’inizio. La prossima volta starò più attento. Ciao 🙂

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      • Nella buona fede e onestà intellettuale si trova sempre il modo per intendersi anche nel disaccordo e anche se si usano talvolta parole inadeguate per esprimere il proprio pensiero. Basta chiarire e chiarirsi con la disponibilità all’ascolto e senza la pretesa di possedere la verità assoluta.
        Penso che l’attenzione per l’altro sia dovuta perché è una forma di giustizia.
        Sull’aborto, credo che – a parte le solite poche eccezioni che non fanno testo – tutti concordiamo nel ritenerlo sempre una tragedia e una sconfitta

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