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Immobile, da Lenin ai cinque stelle

Urban ComplexitySu La Repubblica di oggi 9 aprile leggo l’articolo di Andrea Manzella dal titolo “Da Lenin ai cinque stelle”. La lettura mi suscita la visione di una colonna di fumo parolaio: ulteriore conferma di quanto la crisi di rappresentanza sia anche il prodotto della crisi di rappresentazione.

Non c’è dubbio che esista una “questione parlamentare“, che si manifesta nella eterna inefficienza e inconcludenza del nostro sistema politico-istituzionale, ma a ciò si pone rimedio col rispetto delle  leggi, che consentono anche di provvedere a nuove leggi, e non ricorrendo a scorciatoie interpretative che affossano ancor di più le Istituzioni, la cui credibilità è già gravemente compromessa.

Presentare le commissioni permanenticome strumenti essenziali per l’attuazione del suo programma (il riferimento è al Governo), come snodi delle filiere di maggioranza e opposizione” significa trasformare un aspetto della realtà per realtà assoluta e totalizzante. Colpisce nel ragionamento di Manzella l’assenza di riferimenti normativi.

L’art. 72 della Costituzione stabilisce che le commissioni devono rispecchiare le proporzioni dei gruppi parlamentari. A questa norma sono ancorati i regolamenti parlamentari. Per esempio, gli articoli 21, 22, 27, 28 e 29 del regolamento del Senato; analogamente, quello della Camera (articolo 19 e successivi). La Costituzione non è costruita intorno alla dialettica maggioranza/opposizione ma sulla centralità del Parlamento.

La riduzione del Parlamento in una ripartizione tra maggioranza e opposizione è funzionale a rappresentare l’attività di sostegno all’azione governativa ma è mortificante se consideriamo il ruolo costituzionale del Parlamento.

La mancanza di un Esecutivo “fiduciato” dal Parlamento limita l’azione dell’Esecutivo stesso e non del Parlamento. Infatti, l’Esecutivo può chiedere la convocazione di una Commissione o chiedere la procedura d’urgenza per un provvedimento ma se non dispone di una maggioranza è possibile che le richieste del Governo non siano accolte. I lavori della Camera sono organizzati anche tenendo conto delle indicazioni del Governo, recita l’art. 23 del Regolamento della Camera dei Deputati, ma se il Governo non dispone di una maggioranza è ovvio che queste indicazioni possono non sortire alcun effetto ma, d’altra parte, il Regolamento non prevede l’obbligo di accoglienza delle indicazioni governative.

In base ai regolamenti parlamentari, sono gli Uffici competenti dell’Assemblea e delle Commissioni a stabilire il calendario dei lavori; quindi, l’attività legislativa di competenza parlamentare non risente minimamente della mancanza di un nuovo Esecutivo “fiduciato.

Le Commissioni possono richiedere relazioni e dati ai Ministri competenti e poiché un Ministro competente esiste anche in questa attuale situazione (c’è pur sempre l’esecutivo Monti) le Commissioni possono fare affidamento sulla collaborazione dell’Esecutivo.

In base a quali norme si afferma che ci vuole il nuovo Esecutivo per procedere alle nuove Commissioni permanenti?

Questa prassi s’inserisce nella consolidata abitudine istituzionale di aggirare le norme per non affrontare i problemi. Così “la questione parlamentare”, invece di essere risolta rivedendo la Costituzione e i Regolamenti parlamentari, si ingigantisce ricorrendo a scorciatoie che non risolvono il problema e mortificano le Istituzioni. In sostanza con questa prassi si afferma surrettiziamente la subalternità del Parlamento all’Esecutivo: prassi che scardina la Costituzione. La stessa logica, d’altra parte, si applica con riferimento alla legge elettorale: si afferma che il “problema della governabilità” sia conseguenza del Porcellum quando invece è sempre esistito nella storia repubblicana (tanto che nel 1953 si giunse tra durissimi contrasti alla approvazione della cosiddetta “legge truffa”) perché figlio della nostra Costituzione che, ci piaccia o no, ha privilegiato la centralità del Parlamento, sacrificando la governabilità.

Infine, sarebbe un paradosso macroscopico affermare che il Parlamento non può pienamente operare, tanto da rischiare la disoccupazione, perché non c’è un nuovo Esecutivo la cui esistenza dipende esclusivamente dalla volontà dei parlamentari.

Il rinnovamento richiede trasparenza, lungimiranza e onestà intellettuale non solo da parte dei politici. Non ci siamo.

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