Sempre più spesso i politologi e i commentatori politici ricorrono ai termini “demagogia” e “populismo” per etichettare Grillo e il M5Stelle.
Dove sono stati negli ultimi decenni? Perché lanciano critiche, esprimono banali constatazioni omettendo di ragionare e analizzare il contesto politico che ha generato Grillo e il grillismo. Dov’è la loro capacità di analisi degli eventi e della storia politica di questo paese?
Questo Paese da decenni è alimentato da populismo e demagogia. L’unico linguaggio politico utilizzato quasi da tutti è stato il populismo. Talvolta accompagnato da cultura plebiscitaria, talaltra da giustizialismo, nazionalismo, moralismo…
Senza andare troppo indietro, Occhetto non cavalcò il populismo e la demagogia giustizialista quando invocò lo scioglimento del “Parlamento degli inquisiti”?
Non fu forse populista e demagogico il giustizialismo inconcludente di Di Pietro che non seppe costruire nemmeno un partito trasparente nella gestione del denaro pubblico e nei processi decisionali? E non seppe introdurre trasparenza nemmeno nel fiume di denaro pubblico ai gruppi consiliari.
Come definire la politica di Berlusconi? E quella di Bossi e della Lega compresa l’attuale gestione maroniana? La lega che trasforma “il mafioso di Arcore” nel “presidente preferito”. La Lega che tutto spaccia e ingoia in nome prima della secessione, poi del federalismo ma in realtà per sostituirsi alla vecchia politica di “Roma ladrona” trasferendo a livello locale tutti i mali del deprecato centralismo. Non ha forse fatto leva sul diffuso mal di pancia per pascersi in abbondanza alla mensa pubblica? E con quanto populismo la Lega ha sbandierato la complicata semplificazione inutile del nullafacente terrone padano Calderoli? E quale ministro è stato più populista inutile, improduttivo e mangiapaneatradimento dell’archetipo terronico del familista padano Bossi?
Per non parlare poi del populismo di Casini che sventola moderatismo e responsabilità ma crea le condizioni per il dominio berlusconiano. Critica l’ex alleato anche perché “un bravo politic0 si riconosce perché sa circondarsi da galantuomini”, infatti lui porta Cuffaro in Parlamento e infine pascola improduttivamente nelle Istituzioni raccogliendo tanti voti nelle regioni che sono per l’Italia un esempio di legalità.
E Fini, che manda alle ortiche la discutibile cultura di destra per conquistare un posto al sole alla corte di Berlusconi? Che critica la nascita del partito del predellino salvo poi allearsi con il fondatore di quel partito per timore di restare a piedi? L’analisi più attenta dello statista Fini si deve a Berlusconi: “negli ultimi 15 anni è stato su Marte!”
Infine Monti, non è populismo il suo spacciare agli italiani come “credibile progetto riformista” l’alleanza con Fini e Casini? Non è stato educato populismo il suo perbenismo pavido con i forti e altezzoso con i deboli? Non è stato populismo il suo inefficiente rispetto per un Parlamento che rappresenta(va) solo i Partiti? Proprio quei partiti che avevano dato forfait lasciando a lui il compito di salvare il salvabile.
Il populismo è l’unico linguaggio politico spacciato agli italiani e coloro (in verità pochi) che hanno tentato moduli espressivi diversi dal populismo non sono mai stati premiati. Ciò anche grazie a tanto giornalismo autoreferenziale che preferisce coccolare gli intervistati invece di fare giornalismo al servizio del pubblico. Diversamente una pessima Bindi non si azzarderebbe ad affermare in uno studio televisivo che “i tesorieri hanno troppo potere” o che nei “partiti c’è poca democrazia”. Non si lascerebbe correre sulle cretine constatazioni di Lupi (“per pochi voti il PD prende un premio di oltre 100 deputati”) senza ricordare che lui e la sua maggioranza hanno messo in piedi quella pessima legge elettorale.
Dove sono in Italia i Churchill che confessano di poter offrire solo “sangue, fatica, lacrime e sangue”?
Se i politologi e i giornalisti la smettessero di propagare aria fritta e di alimentare falsi miti, forse in Italia potrebbe diffondersi la cultura della consapevolezza.